Sappiamo bene quanto i prodotti Italiani siano ammirati e voluti in tutto il mondo: i prodotti made in Italy sono tra i più richiesti all’estero rappresentando un vero e proprio modello di business per il paese.
Il cibo Italiano è sempre stato associato ad un’alta qualità e prestigio, un patrimonio gastronomico non solo ricco ma con tutta una sua tradizione alle spalle che fa del cibo Italiano uno dei più apprezzati all’interno del settore gastronomico mondiale.
Ad aggiungere un tassello di positività al panorama agroalimentare Italiano sono i risultati riportati da ANSA: nel 2017 l’Italia è stato il Paese Europeo più attivo nel sistema di allerta per alimenti e mangimi che garantisce la sicurezza alimentare. Non solo, quindi, la bontà dei sapori, l’autenticità dei prodotti ed un’immensa cultura culinaria: l’Italia mette al primo posto anche il controllo della contaminazione e l’uso dei prodotti chimici.
Inoltre, sempre nel 2017, l’export Italiano nel settore agroalimentare è arrivato a guadagnare 448 miliardi di euro ed un primato mondiale per l’export di alcuni prodotti come il vino, la pasta e la frutta.
Insomma, il sistema agrofood Italiano sembra essere un buon esempio per i paesi che vogliano ambire ad un’alta qualità nel settore.
Torniamo a noi. Dunque, cosa si intende per Italian sounding? In una definizione fornita dal sole 24 ore, l’Italian sounding è un fenomeno che sfrutta la reputazione e l’«attrazione» che il prodotto alimentare italiano ha nel mondo.
In particolare l’Italian sounding indica l’utilizzo, da parte delle agenzie estere, di caratteriste specifiche del prodotto Italiano come ad esempio immagini, etichette, riferimenti o denominazioni utilizzandole su prodotti non Italiani.
La federazione italiana dell’industria alimentare, parla di vera e propria contraffazione che può riguardare il marchio registrato, le denominazioni di origine (DOP, IGP, ecc) fino ad arrivare agli elementi più estetici del prodotto come il marchio, il logo e il design.
Si tratta di una falsificazione dei prodotti Made in Italy che non sono prodotti nei paesi di origine ma ciò viene fatto credere tramite l’uso di indicazioni ingannevoli come etichette, colori e riferimenti che riportano chiaramente al prodotto Italiano ma che di Italiano hanno ben poco.
Non è di certo un caso che questo fenomeno sia più diffuso in paesi come l’Australia, l’America Latina, gli Stati Uniti e il Canada, tutti paesi che hanno subito nella storia una forte ondata di emigrazione Italiana, sfruttando così le conoscenze settoriali dei nativi.
Questo fenomeno potrebbe rappresentare ( e già lo è ) una forte minaccia per l’export dei prodotti Italiani che chiaramente diminuisce se i prodotti stessi vengono ingannevolmente realizzati già nei paesi esteri. Questo giro di affari arriva a toccare i 60 miliardi di euro, una cifra che gioca sicuramente a discapito dei guadagni Italiani.
Come si esce da questo problema? Un grande aiuto deriva dal Regolamento UE 1169/2011 centrato sull’informazione al consumatore: l’indicazione d’origine dell’alimento deve essere obbligatoriamente apposta in etichetta nel caso in cui “l’omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d’origine o al luogo di provenienza reali dell’alimento, in particolare se le informazioni che accompagnano l’alimento o contenute nell’etichetta nel loro insieme potrebbero altrimenti far pensare che l’alimento abbia un differente paese d’origine o luogo di provenienza”.
Inoltre altri interventi prevedono la costituzione di una rete di studi legali a carico dell’Amministrazione Pubblica o l’inserimento di clausole negli accodi bilaterali di libero scambio.
Un’idea è anche quella di realizzare delle campagne educative e di divulgazione informativa sul prodotto Italiano e sul suo valore.